martedì 28 novembre 2017

Le parole che non dirò

Non te lo dirò che appoggiare la testa sul tuo petto e sentire il tuo cuore mi tranquillizza. Non ti dirò che scriverti mentre faccio colazione mi fa venire voglia di svegliarmi accanto a te, né che quando mi stringi forte mentre facciamo l'amore io mi sento a casa. Non ti dirò che inizio a non poter fare a meno dei tuoi consigli, delle tue stranezze, del modo in cui curvi le spalle quando un pensiero ti tormenta. Non ti dirò che adoro l'espressione smarrita che fai quando non capisci se scherzo o sono seria, e non ti dirò che a volte ti guardo mentre sei assorto e mi sorprende e mi spaventa quello che provo, né che amo la curva del tuo naso che ormai mi è familiare. Non ti dirò che mi fai ridere, che mi preoccupo per te, che ogni volta che pronunci la parola "relazione" io ho un fremito. Non ti dirò che quando sorridi lo fa anche il mio cuore, e che non riesco a prendere sonno se non so che sei a casa. Non ti dirò nulla perché non ne sono capace, perché mi atterrisce pensare a cosa potresti rispondere, perché lo so quanto sei confuso e premuroso e non potrei sopportare l'idea di aver condizionato il tuo futuro, anche solo per un secondo. Non te lo dirò perché ogni volta che uno di noi due fa un passo avanti tu ti ritrai, lo fai anche se non ne sei consapevole, e mi lasci lì a pensare se lo fai per timore o perché io non sono per te che un'avventura; non ti dirò nulla, e mi ritrovo qui a contare lacrime e parole che non ti ho detto e non ti dirò, vile e scema come sono, perché tu sei giusto ma il momento non lo è, nonostante le stelle, il vino, i tuoi baci e le passeggiate sotto alla pioggia che iniziano a piacermi anche se ho sempre odiato camminare mentre piove. Tu devi andare, lo so, lo sapevo dall'inizio, e mi maledico per averti fatto spazio nel mio cuore e tra le mie braccia, perché il futuro mi spaventa, perché mi terrorizza pensare che non potrò abbracciarti quando vorrò. Non ci siamo mai dati un nome, anche se ne avrei bisogno, e non saprai neanche questo, non ti dirò mai che a volte vorrei solo che tu mi dicessi che sono importante, perché io non lo so.

Stay with me, let's just breathe...

Peynet

domenica 10 settembre 2017

Di stelle e pianeti

L'Universo, tutto, è in un certo qual modo collegato, come direbbe qualche filosofo laureato in astronomia. Io non saprei confermare la cosa, e neanche ci provo a spiegare i misteri dell'Universo, non io che citando Caparezza: "è già tanto se mi cambio le mutande".

Però una cosa è certa: nella vita di tutti i giorni troppo spesso vedo delle strane coincidenze che mi fanno pensare che in un certo qual modo c'è della sintonia in ciò che si verifica nello Spazio che ci circonda e nei rapporti umani.

Siamo tanti, troppi. Piccoli e grandi pianeti ruotanti intorno a tante, troppe, piccole e grandi stelle. Ci danno luce, l'energia necessaria per vivere, per andare avanti. Senza la loro attrazione, saremmo mine vaganti nello Spazio profondo e desolato. Saremmo soli, completamente soli. Non Soli, ma soli: a tutti piacerebbe essere stelle, ma essere portatori di luce, nei rapporti umani, è qualcosa che varia col passare del tempo e delle situazioni. Siamo i pianeti di qualcuno, e le stelle di altri. E viceversa. Dinamici sistemi solari in cui si nasce pianeti di qualcuno e si finisce col diventare stelle di altri. Se si è abbastanza bravi e si ha l'energia necessaria per farlo.

Già perché i pianeti sono cose delicate: dandogli troppa energia, si finisce col bruciarli, rendendoli inesorabilmente dei mondi comandati da calore e chissà quale altro intruglio chimico in cui la Vita "come la intendiamo noi" è qualcosa che non ha possibilità di essere. Dando troppa energia ad un pianeta, finiamo con il renderlo arido. Al contrario, aumentando le distanze e diminuendo le energie, si finisce col rendere un pianeta freddo, completamente inospitale e incapace di favorire qualsiasi focolare di Vita.

L'unico modo per rendere un mondo ospitale è dargli la giusta quantità di energia: non opprimerlo, né farlo sentire solo. E spesso non basta neanche. E' una cosa davvero complicata che non sto qui a spiegare, anche perché probabilmente non saprei neanche farlo per bene. Non sono un tipo studiato, io.

Sono solo un piccolo pensatore che crede che nel mondo ci debba essere, nelle cose e nelle persone, il giusto equilibrio affinché le cose e le persone funzionino. E forse voi che leggerete questo post, non ci troverete neanche niente di nuovo, ma a me piace ricordarvelo. Non sono né un filosofo, né uno scienziato: forse, sono solo un sognatore.

Non bisogna confondere scienza e filosofia. Ma alla gente non devi mai togliere la possibilità di sognare...


venerdì 25 agosto 2017

Quello che non sapevo di me

Ci sono delle cose di me che non sapevo.
Non sapevo ad esempio che un giorno avrei iniziato a passare intere notti insonni, divorata da pensieri ossessivi che mi impediscono di chiudere occhio.
Non sapevo che un giorno avrei smesso di piangere per amore, e avrei iniziato a reagire ad ogni delusione con rabbia e non con plateale disperazione.
Non sapevo di essere una cinica romantica disillusa dall'amore che spera ancora di invecchiare con qualcuno, e questo mi sta un po' in culo.
Non sapevo che sarei diventata responsabile senza perdere la capacità di essere la persona più scapestrata del globo, quando serve.
Non sapevo che un giorno una paura irrazionale e incontrollabile mi avrebbe fatta prigioniera, e quando poi è successo non sapevo e non speravo che l'avrei un giorno dominata.
Eppure ce l'ho fatta, ho iniziato a vivere la mia vita da sola e mi sono scoperta, sono cambiata, in meglio o in peggio non saprei, ho fortificato il mio pensiero, mi sono amata, ho messo da parte la mia naturale misantropia.
Ho fatto altre scoperte su me stessa che mi hanno sconcertata, e altre ne farò, ho dimenticato cose che reputavo fondamentali e ne ho imparate altre.
Credo si chiami crescere, ma non lo so con certezza, sono ancora tante le cose che non so.

mercoledì 2 agosto 2017

Vorrei tanto poterti dire...

E adesso chi glielo dice?

Chi glielo dice che ho paura di questo mondo che non è altro che un labirinto pieno di violenza?

Che a trovarla attraente non sono solo io, ma che il mondo a volte la guarda in un modo che a me non piace quando lei si fa bella per me?

Vorrei semplicemente evitarle il peggio, proteggerla dallo schifo di ogni giorno, dal maschilismo che regna il mondo. Dal fatto che qualcuno possa sentirsi in diritto di aprire bocca, solo perché dotato di testosterone e presunta virilità.

C'è chi, nel mondo, trova soluzioni estreme facendole passare per religione. Chi adotta compromessi basati sul nulla, chi si finge 'per bene' pur non avendo il coraggio di osare. Il coraggio di amare.

Ma le farfalle, devono poter volare in libertà, finché possono. E la fiducia, quella non deve mai mancare.

Vorrei dirti alle volte di starcene da soli, solo per evitare di vedere che il mondo possa pensare che sei facile perché sei bella: tu, che ai miei occhi sei bellissima nella tua estrema semplicità.

Posso solo sperare che il mondo si accechi al tuo passaggio, che non osi spingersi oltre come fa spesso ormai. Spero che ogni uomo possa trovare sempre il suo lato femminile guardando i tuoi occhi chiari, il tuo sguardo sincero. Che si dimentichi gli istinti, la rabbia, il desiderio di controllo.

E spero di riuscire sempre a tenere sempre coperto col burqa quel lato maschile di me, che vorrebbe sempre proteggerti dagli sguardi indiscreti di chi pensa tu possa essere un oggetto. Di difendermi dalla paura, di ritrovare sempre il coraggio di fare qualcosa in più per fare in modo che quegli sguardi rimangano ignorati, a differenza del mio.

Perché questo mondo sa essere un brutto posto, ma tu sei bellissima così come sei...

Kings of Leon - Pyro




giovedì 27 luglio 2017

In equilibrio precario

Ed eccomi qui, di nuovo disoccupata.
Ormai è una condizione così frequente, nella mia vita, da essere diventata la normalità: è più strano per me essere produttiva che stare a casa a inviare CV, scrivere cose che non farò leggere a nessuno, impegnarmi nello studio e cucinare.
La precarietà lavorativa diventa precarietà esistenziale, si è sempre in equilibrio tra la voglia di indipendenza e la difficoltà a realizzarci, poterci mantenere, vivere dignitosamente del nostro lavoro. Questo non è un paese per giovani, e io sono troppo vile per fare le valigie e partire, ma forse non è mancanza di coraggio, ma amore: amore per le mie colline, per la famiglia, per gli amici; a volte mi sento terribilmente in colpa per la mia incapacità di lasciarmi tutto alle spalle e partire in cerca di fortuna, altre volte mi dico che forse ci vuole più fegato a restare e lottare, ma è davvero così o mi sto giustificando? E poi, ne vale la pena, di soffrire e combattere una guerra che forse siamo destinati a perdere?
Non lo so, non so nulla ora, ad eccezione dell'ovvio: sono di nuovo senza lavoro, mi devo reinventare per l'ennesima volta, sono ancora in equilibrio sulla corda, non posso scendere a terra, mi tocca aprire le braccia e cercare di non cadere, e ce la farò anche stavolta, ce la faccio sempre.

sabato 8 luglio 2017

Il mio vestito non significa che sono disponibile

Ho un fisico prorompente, lo so. Sono una donna sensuale, so anche questo, e mi piace esserlo, mi piace indossare un abito che mi valorizzi e i tacchi alti, mi fa sentire sicura di me. Mi piace sentirmi sexy, carina ed in ordine, non mi piace assolutamente sentirmi preda, essere oggetto di commenti inappropriati, saluti inopportuni e fischi, seguiti da richieste di rispondere, come se fosse un obbligo. Perché no, non sono a vostra disposizione, non sono tenuta ad accettare che mi gridiate dietro ogni genere di oscenità, non devo rispondervi ed essere gentile con voi, voglio solo andare in giro per la strada senza sentirmi come un pezzo di carne nel bancone della macelleria. Non mi lusinga camminare da sola e dover abbassare lo sguardo per paura di risultare troppo provocante, non mi fa sentire apprezzata sapere che indugiate con lo sguardo sul mio sedere e lo commentate tra di voi, tra una birra e l'altra fuori dal bar dove sostate in attesa dell'ennesima donna da molestare, perché è questo che fate, ci molestate, ci fate sentire in pericolo, ridotte a corpi da commentare e magari da avere, anche senza il nostro consenso, giustificando chi ci usa violenza con un orrendo "ce la siamo voluta", solo perché abbiamo l'ardire di camminare liberamente indossando un abito corto, o andiamo fuori a bere, o semplicemente siamo donne, voi siete uomini ed è un vostro diritto, e tanto basta, no?
I 150 mt che separano l'ufficio in cui lavoro dalla fermata del pullman sono uno strazio, una gogna, difficili da sopportare anche in pieno giorno: mi sento in colpa, a volte, quasi sbagliata nei miei abiti corti e sui miei sandali alti, ed è questo che odio più di tutto il resto, odio sentirmi in difetto quando siete voi quelli che dovrebbero vergognarsi.

mercoledì 14 giugno 2017

Il decalogo del tifoso che (non) hai trovato allo stadio


Ebbene si, il Benevento Calcio è in Serie A!!!

(Squilli di trombe e Alleluia del coro gregoriano di turno)


Per chi non lo sapesse, e sembra quasi impossibile per un abitante della provincia sannita, finalmente il Benevento è riuscito nell'impresa di conquistare la massima serie calcistica per la prima volta nella sua storia. Battuto il Carpi ai play-off, e forti del pareggio nella partita d'andata, la città ha potuto festeggiare fino a notte fonda la meritata e agognata promozione. Quasi 20.000 anime hanno riempito con voce, cuore e colori, gli spalti del Ciro Vigorito, per permettere così alla nostra città di raggiungere un obiettivo unico e, alla vigilia, improbabile da perseguire.

Ora, non voglio tediarvi con discorsi riguardanti l'aspetto tecnico della faccenda, ma piuttosto, essendo un frequentatore dello stadio, mi sono voluto cimentare in quello che secondo me è il decalogo del tipo di tifoso che (non) hai trovato allo stadio giovedì. Tenetevi forte.

1. L'Ultras

Di sicuro questa tipologia di tifoso non te la sei trovata seduta affianco, a meno che non sia tu stesso un ultras. E' risaputo che gli ultras occupano la parte centrale della Curva Sud, hanno il biglietto (se ce l'hanno) messo da parte dalla ricevitoria già da prima che i biglietti vengano stampati, e soprattutto cantano. Sempre. Non smettono di cantare neanche in giro per il corso Garibaldi. Loro, sciarpetta rigorosamente legata alla vita a mò di cintura, alzano le mani al cielo e, mezzi ubriachi, 'anna cantà!'.
Perché se non canti non sei tifoso, e se non sei tifoso non rappresenti la città. E se non rappresenti la città non sei orgogliosamente beneventano e se non sei orgogliosamente beneventano, vuol dire che non sei un sannita. E se non sei un sannita, vuol dire che non sei un gladiatore, e se non sei un gladiatore non vinci la battaglia contro i leoni e i romani. Poi si svegliano tutti sudati e capiscono che sono passati un paio di migliaia di anni da allora.
Il calcio per l'ultras rappresenta in chiave moderna una guerra a tutti gli effetti, fatta di bombe a mano artigianali nel tentativo di incutere timore agli avversari e sciarpette sventolate al cielo come il nunchaku di Bruce Lee.
Poi quando vai allo stadio e c'è la tifoseria ospite, dopo aver assistito sui social a frasi violentissime e sfottò in cui escono sempre in mezzo mamme e sorelle, ti rendi conto che più che una guerra è una sorta di battaglia freestyle come quella dei rapper, soltanto che si fa in coro. E sui gradoni. Niente mazzate, niente mamme violentate o sorelle sverginate, perché il massimo che puoi ottenere al giorno d'oggi è qualche manganellata ben assestata del poliziotto di turno. Se sei particolarmente fuori di melone.
Per le precedenti manganellate...
Gli ultras sono contrari a tutto: alla tessera del tifoso che poi puntualmente sottoscrivono e soprattutto agli occasionali. Quelli proprio non li possono vedere, salvo poi invitare la cittadinanza alla partecipazione di massa. In fondo sanno contare: si rendono conto pure loro che 20.000 is megl che uan!

1b. Il capo Ultras

Lui la partita non la vede. Viene allo stadio per guardare dal lato sbagliato del campo, cioè verso le gradinate. Me lo sono sempre chiesto senza risposta, ma spero proprio non paghi il biglietto. Lui non indossa maglietta, è scritto sul CCNL dei capi ultras. Pure se la partita si gioca il 27 gennaio e allo stadio ci sono -12°. Eroe.

2. L'abbonato

L'abbonato è una figura variegata. Età media: 40 anni. I 20enni in Curva, i 60enni nei distinti. Sono vecchie glorie ultras ormai in pensione oppure nuove leve, o semplicemente appassionati di calcio e innamorati della squadra. Loro la partita la vedono, non cantano. Ne fanno un'analisi tecnico-tattica sconcertante. Ricordano le formazioni a memoria dal 1929 e sanno tutto di tutto sulla squadra in campo, comprese mamme, sorelle dei giocatori, e quello che hanno fatto la sera prima. Non si perdono una partita neanche se li minacci di morte o se si sposano. Ogni volta che segna un gol il Benevento, si ritrovano abbracciati allo sconosciuto di turno, e se non vanno in trasferta la partita la vedono in streaming su un sito rumeno o, per i più fortunati, su Sky. Sta di fatto che in un modo o nell'altro loro ci sono, costi quel che costi. Del resto, l'abbonamento lo hanno fatto pure per risparmiare: se si perdono troppe partite, poi non ne vale la pena.

3. L'occasionale

Ovvero l'antitesi dell'ultras.
L'occasionale è quello che oltre al Benevento Calcio ha anche una vita sociale. Nel week end gli piace farsi le gite fuori porta, le partitelle a pallone con gli amici, le grigliate in famiglia. Segue il Benevento tramite live score, non ne fa una tragedia se perde, è sereno se vince. Ogni tanto, magari libero da altri impegni, fa una capatina allo stadio e va tranquillamente a vedere la partita, con un orecchio dedicato ai campi di serie A. Si fa qualche selfie con gli amici, chiacchiera amabilmente e non si avvelena. Per lui, il calcio è uno spettacolo al quale assistere, come un musical, un concerto o uno spettacolo teatrale. Niente guerre, nè urla, nè cori. Solo sport. Ovviamente nelle partite di cartello ruba il biglietto all'abbonato di turno perché ha gli agganci giusti, e per questo viene odiato da tutti. Mica per altro.
Conosce i giocatori più importanti e puntualmente li critica se la squadra perde. I giocatori che non conosce, li chiama per numero di maglia.

4. Il festaiolo

Questa categoria l'hai trovata allo stadio per un motivo ben specifico: c'è la possibilità di fare caciara, perché perdersela. Si è fatto otto ore di fila per un biglietto, perché riempire la sua pagina Facebook e Instagram con selfie dai gradoni, o foto della Curva, fa comunque prendere un botto di like. In realtà è una pecora che va allo stadio solo per sentirsi integrato, per poter parlare con gli altri di qualcosa o semplicemente per avere un motivo banale per tornare a casa ubriaco ed essere giustificato. Di quello che succede nel campo, se ne frega poco. Allo stadio ci va per fare acchiappanza, o semplicemente per farsi vedere. Domanda alla Fantozzi 'chi ha fatto palo?' oppure chiede al vicino di turno 'quali sono i nostri?' perché ovviamente non conosce nemmeno i colori sociali. Lo hai visto a Piazza Risorgimento con un cocktail in mano, un gagliardetto rubato e cellulare nell'altra mano pronto a fare foto a sè stesso o al mondo intero. Diretta Facebook o Instagram obbligatoria.
L'unico aneddoto che conosce sul Benevento Calcio è relativo alla sconfitta casalinga col Crotone: quel giorno si entrava addirittura gratis!
E il Presidente si è venduto la partita.

5. Il lavoratore

Questa categoria dovrebbe essere l'antitesi dell'ultras, ma nessuno se ne è accorto e quindi tutti odiano gli occasionali. I lavoratori sono quelli che non solo non sono minimamente appassionati al Benevento Calcio, ma hanno pure la faccia tosta di lucrarci sopra, facendo credere al mondo di essere tifosissimi e appassionati sostenitori, solo per raccogliere qualche like pubblicitario dalla gente talmente esaltata dalla Serie A che mette like (o compra) a qualsiasi cosa giallorossa. Compresa la carta del cesso. E allora vedi schiere di negozianti che si dichiarano tifosissimi dal primo momento, quando a stento sanno dove si trova lo stadio. E se lo sanno, vengono allo stadio e li vedi continuamente sul cellulare a fare la cronaca in diretta di quello che succede sul campo, accompagnando il tutto con il nuovo gadget giallorosso appena diventato disponibile. E così via fotografi, gioiellieri, ristoratori si reinventano tifosi giusto per cercare di trovare clienti. Poi magari decidi di provare un ristorante perché in fondo vedendo l'annuncio, ti dici che il proprietario per essere tifoso del Benevento Calcio, deve essere proprio una brava persona! E così vai lì e non trovi neanche mezza bandiera o un gagliardetto e se gli chiedi di Bagadur, magari ti risponde pure che di cucina africana proprio non ne capisce...

6. Il moralista

Questa categoria è bellissima: ha sperato, in fondo, che il Benevento Calcio perdesse per poter salire sul carro della morale e giudicare tutti dall'alto della sua saccenza. Avrebbe potuto così dirti che il calcio non è più uno sport, che ci sono problemi più importanti e che tutto ciò che il popolo sa fare è essere triste o esaltato 'per undici giocatori che corrono dietro ad un pallone'! Che Vigorito si è già venduto la finale col Crotone, e che quindi fosse scontata la sua teoria che il Presidente in Serie A non ci vuole andare.
Ecco, ci hai provato. E hai festeggiato ugualmente salendo sull'unico carro disponibile: quello del vincitore.

7. Il pensionato

Anche lui si è fatto otto ore di fila per prendere i biglietti. E lo ha fatto per un semplice motivo: i nipoti. A lui avrebbe fatto piacere godersi la finale come l'andata a Carpi, comodamente seduto sul divano di casa, con un bel caffè davanti e dopo aver digerito la cena delle 19.15! E invece la moglie lo ha costretto ad andare allo stadio e portarci i nipotini perché 'non succede, ma se succede quando ricapita che e criatur vedono uno spettacolo del genere?! Va e puort't pur a lor!'. Sul gol di Puscas, si è ritrovato abbracciato affettuosamente dall'abbonato di turno e quando ha ripreso i sensi, ha dovuto pure tenersi l'ansia di un nipotino che puntualmente per un attimo si era perso nella marmaglia di gente accatastata una sopra l'altra. E da cui il nipotino ha fatto capolino, con buona pace del bypass appena evitato.

8. L'avellinese

La Serie A l'ha vista solo tuo papà. E ben ti sta!

9. (Che poi sarebbe la decima) Io

Beh si, io faccio categoria a parte. Sono anni che non vado allo stadio e non ci vado per diverse ragioni. Una delle più importanti è che sono contrario alla violenza, e allo stadio riuscivo spesso ad appiccicarmi con la gente per la minima questione. Non sopportavo più i "Vigorito vattene", le opinioni tecnico-tattiche lanciate a cazzo di cane dal carpentiere di turno (con tutto il rispetto per la categoria), e non sopportavo neanche la calca nelle partite importanti, quando poi il campionato di C2 lo vedevamo i soliti mille. Non sopportavo più i cori contro gli occasionali, i cori contro le tifoserie avversarie, di cui non riuscivo a distinguere i volti nè le fattezze. Di cui non sapevo la storia. Non sopportavo l'orgoglio sannita e l'amore per la città sbandierato per una partita di pallone, quando poi i 'Vigorito vattene' li vedevo puntualmente scritti imbrattando chissà quale muro di chissà quale palazzo pubblico. Non sopportavo il protagonismo: l'eterna convinzione della gente che la tifoseria possa influenzare in qualche modo il cammino di una squadra in un campionato. Ho sempre creduto nel fattore campo, ma le promozioni si conquistano con la sinergia di diversi fattori e con i soldi. Tanti soldi. Non sopportavo le critiche spesso gratuite ai giocatori, che per quanto ben pagati fanno solo il loro lavoro. Critiche che poi arrivavano da gente che non ha mai lavorato e chissà come cazzo si guadagna da vivere.

Ecco, io che non sopportavo e non sopporto tutte queste cose, allo stadio non c'ero. Ero a fare turno a lavoro, esattamente come il 30 aprile 2016, giorno in cui il Benevento Calcio è salito in Serie B.
E giuro che me lo ricordo, non sono andato su Google a cercare la data come avrebbe fatto il 50% delle persone che allo stadio quel giorno c'erano.

Ho amato quei colori, e li seguo tuttora, ma da lontano. Sono stato felice per la cittadinanza, per le persone coinvolte e per i giocatori e il Presidente. Ho passato la notte a vedere i cortei, le bandiere e gli striscioni per strada mentre io ero prigioniero volontario a lavoro. E un po' lo ammetto, non ho cambiato turno stavolta anche per una sorta di scaramanzia. Ed è andata bene.

E così sono io l'unico(?) beneventano che non c'era in nessuna delle due feste. E che in fondo raggruppa esattamente tutte le categorie sopra citate.

Angelo Del Vecchio - BN Calcio Anthem 2013/14

domenica 11 giugno 2017

Coazione a ripetere

Tra i tanti difetti che ho, e ne ho davvero tantissimi, il peggiore è la tendenza a fare sempre le stesse cazzate. Mi ubriaco, sto male e prometto che non berrò più, e poi il sabato successivo bevo il doppio. Mi bocciano all'esame di teoria ed invece di studiare tento di nuovo la sorte. Mi infilo in situazioni di merda, soffro come un cane, ne esco a fatica e poi ci ricasco, e quando ne riesco di nuovo mi dico che non voglio trattare il cuore come una puttana, che è arrivato il momento di fregarmene e smetterla di illudermi che chi nasce idiota possa diventare l'uomo perfetto, però poi finisco sempre nel bagno a piangere sui cocci della mia anima fatta a pezzi.
Si chiama coazione a ripetere, aggravata dalla propensione a fare sempre peggio. Il punto è che io non vivo con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro, ma in un loop, mi condanno a fare sempre le stesse cose, non imparo dai miei errori, non cresco. Non sono indulgente con me stessa, quando realizzo il macello che sto combinando: mi macero nei sensi di colpa dandomi della cretina e perdendo ancora di più lucidità, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno in cui l'istinto di sopravvivenza ha la meglio sulla spinta autodistruttiva che è mia compagna fedele da tutta una vita. È questo il punto, io non so come si fa ad essere felici, trasformo la mia vita in un dramma da operetta ridicolo ed imbarazzante, trascino nel baratro della disperazione chi mi è accanto e cerca di aiutarmi, sbaglio e chiedo scusa, m'incazzo con me stessa e faccio altre cazzate per anestetizzare il dolore perché ho troppa paura di tirare via il dente marcio, quella sensazione perenne di non essere abbastanza, di non meritare abbastanza, quell'amaro in gola che non va via nemmeno dopo 5 tequila e che mi fa credere che il mio destino sia farmi a pezzi ogni volta. Ma il destino non esiste, lo so bene, tutto quello che mi accade lo voglio io che non ho sufficiente forza di volontà per allontanare chi sta per ferirmi, perché sì, io mi faccio malissimo ogni volta. Dovrei usare la testa ed il cuore, farli lavorare in sincronia e lasciare che siano loro a guidare le mie azioni, e non un cazzo di istinto ferino e malevolo che mi spinge a tuffarmi nelle acque gelide, dovrei chiedermi se sarò in grado di sopravvivere, dovrei spezzare quel circolo vizioso in cui mi crogiolo, smetterla di illudermi, iniziare ad amarmi davvero. Domani lo farò, e non sto tergiversando, domani lo farò davvero, lo devo a me stessa, e lo farò. Uccidi il bastardo, uccidi la colpa, uccidi gli errori e rinasci, sii la versione migliore di te. 

domenica 4 giugno 2017

Prova costume? Fatela voi!

Odio questo periodo. Fa caldo, le zanzare iniziano a tormentarmi, la gente non si lava, e in tv, sui giornali e sui social è un continuo martellamento con l'imminente prova costume. Che poi, prova de che? Ma che è, un esame? Dobbiamo studiare per andare al mare a mettere i piedi in ammollo ed abbronzarci? Dobbiamo fare le nottate sbronzandoci di caffè? E se non passiamo l'esame? Rimandate a settembre?
Ci avete rotto il cazzo!
Ci avete rotto il cazzo con i vostri parametri basati esclusivamente sull'aspetto, coi giudizi ed i commenti cattivi. Troppo magre, troppo grasse? Fatti nostri. Perché non ci chiedete piuttosto se siamo felici, soddisfatte, realizzate? Perché invece di misurare i cm di coscia non tenete il conto dei nostri sorrisi, delle nostre lacrime e dei sacrifici che facciamo per vivere la vita come vogliamo? Perché continuate a catalogarci come bestie ad una fiera? Ma poi, vorrei sapere, davvero qualcuno quando è in spiaggia passa il tempo a scrutare le pance altrui?
Perché per fare una cosa normale come andarcene al mare dovremmo adeguarci a criteri decisi da altri? Dovremmo negarci il piacere di spogliarci e farci baciare dal sole e dalle onde solo perché il nostro corpo non piace a voi? Ma perché, chi cazzo siete?
Vi svelo un segreto: le taglie sono una convenzione, un modo per dividere i vestiti e permetterci di trovare al volo quello fabbricato per accogliere le nostre forme, e a me le convenzioni non piacciono, a dirla tutta mi fanno proprio schifo, per cui la prova costume per entrare nel bikini striminzito Size 0 fatela voi, io ho sfide più importanti da vincere.

mercoledì 31 maggio 2017

Con i piedi in una pozzanghera

Dovrei trovare chi si prenda cura di quella parte irrequieta della mia anima, che non trova pace neanche nel cercare di trovarne un po', di pace.

Dovrei trovare me stesso, da qualche parte.

E finisco sempre con l'essere costantemente insoddisfatto, a trovare nelle cose, e talvolta nelle persone, quel briciolo di difetto che tutto infastidisce, come una ciglia in un occhio verde, o un sassolino nella scarpa nuova. Fingo di accettare tutto, ma poi in effetti mi ritrovo con l'accetta in mano a fare macelli di corpi, cose e persone.

La mia mente è un campo minato: basta un semplice passo incauto per rovinare tutto.

E penso all'evoluzione, ai milioni di anni che ci sono voluti per creare me e i miei dubbi, i miei errori nel tentativo di farne una giusta. Solo una maledettissima cosa giusta. Quanto spreco di tempo.

A (quasi) 34 anni, sono ancora con i piedi in una pozzanghera d'acqua sporca. Saltellante, divertendomi a vedere che fine fanno gli schizzi e a sentire le urla di mia madre per l'ennesimo pantalone da lavare.

Dovrei crescere e lo farò, prima o poi.

Quanto spreco di tempo.

Jacopo Cerulo - Il diario degli errori (Michele Bravi cover)

lunedì 29 maggio 2017

La vita è dura, quando non sei una strafiga

C'è chi nasce strafiga, bella, con un fisico da urlo e un viso che colpisce, e poi ci siamo noi, quelle anonime, bruttine e con la panza.
Il mio fardello è che sono circondata da donne oggettivamente più belle di me, che attirano l'attenzione degli uomini. Io sono destinata a restare in disparte, almeno che non incontri un uomo che rimanga affascinato dalla parlantina, dal carattere e dalla cultura. È una vita difficile, quella delle donne ordinarie, a noi tocca tenere la borsetta e guardare le altre prendersi gli uomini che vorremmo noi. Abbiamo la pancia, la cellulite, i capelli perennemente in disordine e non sappiamo truccarci, spesso ci nascondiamo per paura del giudizio, non sappiamo sedurre e qualche volta passiamo per rompicoglioni, non perché lo siamo più delle altre, ma solo perché il mondo è meno indulgente con chi è brutto. Sì, sono brutta, ho imparato a conviverci, e spesso me ne fotto, però capita sempre quello che ti paragona a tua sorella o all' amica bellissima, e lì la tua autostima, faticosamente costruita, cade come un castello di carte. Noi bruttine con la panza non possiamo essere fashion, ché la moda è per le magre, non siamo fotogeniche, perché abbiamo il doppiomento, e sticazzi se siamo sveglie, preparate ed intelligenti, non potremo mai competere con le strafighe. Ma in fondo lo vogliamo? Vogliamo essere valutate per la taglia, la messa in piega e i lineamenti? Sì, dannazione, perché siamo anche noi schiave di una società superficiale basata sull' apparenza. Noi ci stiamo male, quando ci mettono a confronto con una donna più bella di noi, ci chiudiamo in bagno a piangere e malediciamo i chili di troppo, le gambe corte, l'incapacità di sistemarci e di uscire carine in foto. La vita non è semplice, per quelle brutte, condannate ad un confronto continuo dal quale escono sempre perdenti. Fottercene? Potremmo, a volte ci riusciamo, ma la ferita della mancata accettazione sanguina ad ogni minimo colpo, ci rende insicure, si infetta e s'incancrenisce, costringendoci a ricostruire con fatica quell'immagine positiva e vincente di noi stesse che ci siamo messe addosso. Non siamo strafighe, non lo saremo mai, ma siamo troppo fragili per dirvi quanto ci fa male il confronto, il senso di inadeguatezza e i giudizi. Fateci un favore: risparmiateci i commenti; non pretendiamo di piacervi, ma almeno evitate di calpestare quel briciolo di autostima che ci siamo costruite.

mercoledì 24 maggio 2017

Il fantasma degli amori passati

Stasera mi sento come Matthew McConaughey ne "La rivolta delle ex": i fantasmi delle mie relazioni passate sono venuti a trovarmi tutti insieme, e mi trovo a fare i conti con i miei fallimenti sentimentali. Non che tutti siano imputabili esclusivamente a me, sia chiaro, ma spesso ce l'ho messa tutta per far andare le cose il peggio possibile, salvo poi ritrovarmi nascosta sotto al piumone a piangere ingozzandomi di nutella. Il fatto è che in amore io faccio cagare. Sono insicura, a volte opprimente ed altre indifferente, instabile, incline ai pipponi (pensanti, ça va sans dire), nevrotica e isterica. Stare con me deve essere un vero tormento, in quei giorni in cui mi sveglio con l'intento di rompere i coglioni. La cosa buffa è che, al contrario, nelle interazioni sociali neutre, quelle che non implicano uno sforzo emotivo, sono praticamente perfetta: paziente, comprensiva, gentile, chiara e professionale; è con le emozioni e i sentimenti che ho difficoltà, non li so gestire, prendono il sopravvento e agiscono in nome e per conto mio. Ma i moti del cuore vanno arginati, o travolgono tutto, ed è questo che ancora non ho imparato, cerco di portare la barca in porto durante una tempesta, quando invece sarebbe stato più saggio non salpare.
Stasera i miei fallimenti passati sono qui a farmi compagnia, insieme alla stanchezza e al premestruo. Il fantasma degli amori presenti non si paleserà invece, perché, con il fare sicuro da ghostbuster, l'ho ucciso prima che prendesse forma: con le relazioni ho chiuso, ho abbassato la serranda del cuore definitivamente, perché sono stufa dei pianti sotto al piumone, delle eterne disamine, del rancore e della sofferenza. Non durerà a lungo, però, perché nonostante tutto rimango innamorata dell' amore, e prima o poi un'illusione perfetta, per citare Gaga, farà deflagare il portone blindato. Farà danni, ne sono sicura, perché sarà l'ennesimo fallimento, e tornerò sotto al piumone a darmi della cretina, ad analizzare ogni parola e gesto cercando una spiegazione, in attesa del fantasma degli amori futuri che forse non vivrò, e sarà scheletrico e cupo, sterile e incarognito come il mio cuore.
Photo: property of Butcher Billy
(https://www.facebook.com/ButcherBilly/)

martedì 23 maggio 2017

Parola di infame

L'orologio ticchetta piano, poco più forte del mio respiro affannoso. Sono uno sportivo ormai, non dovrebbe succedere, eppure sarà che è lunedì, sarà lo stress post lavoro, sarà...

(Quello che voglio io da te, non sarà facile spiegare...)

Non so cosa sia. Non l'ho mai saputo. Mi basta poco per entrare in una malinconia che cancella per un po' ciò che di bello vivo, per farmi entrare in questo stato in cui sono in grado di scrivere. E' bello, perciò preferisco vivermelo, piuttosto che ridere a tutti i costi, come molti fanno per nascondere le debolezze.
Ed è bello perché a me piace scrivere: le cose più belle, quelle a cui sei più legato, in fondo nascono dalle tristezze.

Lo stato di malinconia stasera me lo ha scatenato la mia socia, che ha avuto la brillante idea di linkarmi il video di una canzone di cui non scriverò il titolo, ma che invece vi invito ad ascoltare.

Vi dico solo che ad un certo punto l'orologio di casa non ticchettava più: Elisa aveva cominciato a cantare.

(...quell'uomo infame non ti ha mai capita...)

Siamo tutti infami al mondo, in un certo senso. Uomini non più felici che vanno via, spaventati o semplicemente stanchi. Siamo gli artefici di sogni e desideri spezzati, di cuori infranti. Senza particolari spiegazioni, ce ne andiamo via. E' vero, siamo infami: ma non è più infame restare, quando si è già deciso di andare via?

(...ma se tu vai via, porti i miei sogni via con te...)

Se non ci fossero gli infami, non ci sarebbe l'esperienza. Senza esperienza non si aggiusta il tiro, e non si trova quella persona che magari hai di fronte e di cui non hai mai neanche percepito l'esistenza. Quella che ti fa innamorare.
Mi è capitato troppo spesso che dopo il mio passaggio, le persone con cui sono stato abbiano trovato poco dopo l'amore della loro vita. Che si siano sposate e avuto figli.
Le cose più belle, quelle a cui sei più legato, nascono dalle tristezze: non c'è niente da fare.

(...qualcuno è qui per te, se guardi bene ce l'hai di fronte...)

Siate tristi, infelici e soli quando sentite di doverlo essere. Siate come siete, sempre. Un giorno troverete la persona che vi dirà queste parole:

"Meriti del mondo ogni sua bellezza.
Dicono che non c'è niente di più fragile di una promessa,
ed io, non te ne farò nemmeno una."

Parola di infame

Buon ascolto...

sabato 20 maggio 2017

Admira, Boško e la guerra.

Questa è la storia di un amore puro, nato sui banchi di scuola e distrutto da una guerra folle ed insensata. Admira e Boško sono adolescenti quando si incontrano tra una lezione e un'altra; si innamorano, si vedono tutti i pomeriggi in un caffè dove parlano dei loro sogni, fanno progetti, ma la guerra si mette di traverso.
 È un conflitto cruento e sanguinario, quello nell' ex Jugoslavia, e le differenze razziali e religiose si acuiscono, tante persone soffrono e intere famiglie vengono distrutte in nome del nazionalismo e dell' appartenenza ad una religione, differenze inconciliabili vengono alzate come muri e preannunciano la tragedia. Admira e Boško non badavano al fatto che lei fosse musulmana e lui cattolico, loro si amavano, volevano solo stare insieme, e quando hai 20 anni ed un amore credi di poter sconfiggere tutto, anche la morte.
 In quel maggio del 1993 speravano di fuggire da Sarajevo, dalle bombe e dai fucili, dalla pulizia etnica e dall' odio, per poter vivere il loro amore senza paura, liberi finalmente di poter essere solo un ragazzo e una ragazza innamorati e pieni di speranza. Un cecchino li uccise il 23 maggio del 1993, i loro corpi rimasero abbracciati in strada per 8 giorni, prima che una tregua permettesse di recuperarli e seppellirli, lontani però, perché anche da morti il loro amore era proibito. Non avevano lo stesso Dio e non appartenevano alla stessa tribù, ma l'uno aveva l'altra, e così sarà per sempre, nonostante l'uomo abbia tentato di separarli; ora riposano insieme, per l'eternità abbracciati così come avevano vissuto, a ricordare al mondo che nessuno, neanche la guerra, può cancellare l'Amore. 
Admira e Boško, il mio pensiero stasera va a voi, sono sicura che lì, ovunque siate, siete insieme, perché Dio perdona sempre gli amanti, e mai gli assassini. 

#laPostadelQuore - Il primo appuntamento

Funziona così: conosci uno, ti piace, vi sentite per un po', nel frattempo tu analizzi ogni parola con le amiche in un gruppo whatsApp chiamato "che avrà voluto dire?" creato apposta per scambiarsi gli screenshot, fino a quando lui si decide e ti chiede di uscire.
Ora, il fatidico primo appuntamento è un rito al quale uomini e donne si preparano diversamente, e che affrontano in maniera diversa.
Lei, solitamente, invia alle amiche la schermata della frase fatidica, accompagnata da messaggi vocali interminabili pieni di gridolini di gioia, menate, dubbi.
Dopo aver accettato, organizza la task force, un gruppo di fidatissim* con cui pianificare ed eseguire i preparativi alla serata.
I preparativi sono una cosa serissima, miei affezionatissimi: parrucchiere, manicure, pedicure, shopping di intimo sexy e ceretta totale, questi ultimi entrambi insensati, perché lui, ammesso che giochi bene le sue carte, ha una chance di vederla solo dal quarto appuntamento in poi.
Arrivata alla giornata fatidica, alle 7 del mattino circa inizia lo psicodramma da "che cazzo mi metto per sembrare seducente ma non troppo, senza apparire una disperata che prima di vederlo ha aperto le persiane, spolverato e tolto le ragnatele?"
Alla fine optiamo tutte per un little black dress con tacco alto, fa figa di classe, sta bene con tutto, non sfiguri al ristorante 5 stelle superior e se sei abbastanza disinvolta va bene pure per il panino da Pepp' o' fellon'.
Lui scrive ad un amico paventando futuri accoppiamenti selvaggi, porta a lavare la macchina, barbiere, porta la camicia buona da mammà perché la stiri, compra un mazzo di fiori e una confezione da 30 di preservativi XXL, con un ottimismo commovente, povero ingenuo.
Arriviamo al momento dell'incontro. Mi permetto sommessamente di darvi qualche consiglio.
Maschietti, scendete dalla macchina ed aprite la portiera, non state caricando un amico per una birra.
Evitate tassativamente di parlare di vostra madre. Sì, lo so, fa il ragù più buono del mondo, è la vostra stella, tutto bellissimo, ma no.
Dosate i complimenti, ditele pure che è bellissima, ma non guardatela sbavando e non sventolatele sotto al nasino incipriato la confezione di preservativi extralarge, soprattutto se si tratta di pubblicità ingannevole.
Devo dirvelo? Dovete pagare la cena. Niente discussioni, vi tocca.
Non aspettatevi nulla, non è un obbligo venire a letto con voi solo perché avete pagato 300 euro, sennò vengo a menarvi dove siete.
Ragazze, mai parlare dell' ex stronzo che vi ha tradito con la vostra migliore amica. È un appuntamento, non il diario di bridget jones.
Non fate le splendide ordinando solo un'insalatina se di solito mangiate come una squadra di lottatori di sumo. Prima o poi scoprirà che avete il verme solitario, e se gli piacete troverà sexy vedervi mangiare di gusto.
Non ubriacatevi. Non è moralismo, è esperienza personale, fidatevi di me, non gradireste svegliarvi la mattina successiva e gestire una figura di merda, oltre che l'hangover!
Istruite un'amica sulla telefonata delle 23.00, quell'exit strategy inventata dal mossad che può salvarvi se la cena è un disastro o lui mostra evidenti segni di squilibrio.
Per tutti vale la regola di tenere il telefono da parte. Guardatevi negli occhi, parlare, flirtate.
Andate ed innamoratevi, vi benedico.
#PostaDelQuore

venerdì 19 maggio 2017

#lapostadelQuore - I tipi dei social


Miei cari affezionatissimi, oggi per voi i tipi medi dei social, sulla base della mia esperienza di trentaduenne single eterosessuale:
-1 il piacizzatore seriale. Costui piacizza tutto, foto, stati, rubriche come questa. Talvolta commenta in maniera spiritosa, ma mai, mai scrive, ma attenzione! si aspetta lo facciate voi, lui si limita a farsi notare nella barra delle notifiche, dove è onnipresente, più di vostra sorella, della vostra migliore amica o di vostra madre. Se vi sembra interessante fatevi avanti, ma senza esagerare, che da "te la darei" a "sono disperata" è un attimo.
-2 l'analfabeta. Costui scrive, ma roba del tipo "ciao, ti o vista, 6 bellissima,cm va, k fai?" Bocciatelo senza appello.
-3 il fidanzato/marito/compagno insoddisfatto. C'è bisogno della descrizione?
-4 il morto di figa. Anche qui la descrizione è superflua.
-5 l'impegnato. Costui salva il mondo un post alla volta, e generalmente non ha tempo per cose superficiali come l'amore, ma se gliela offrite se la prende.
-6 il populista complottaro. Condivide post su ogni sorta di cospirazione, generalmente è grillino, se ci fate un figlio non ve lo farà vaccinare.
-7 il nerd. Qui la vostra esprime senza dubbi tutto il suo affetto per la categoria: il nerd magari non conoscerà l'ubicazione del punto G, ma sicuramente con lui farete cose interessanti, come maratone di film MCU, sessioni di Magic: the gatering e puntatine a qualche Con. Da non confondere col tipo n. 4.
-8 il depresso. La vita fa schifo, sono una persona di merda, non sono capace di amare, me la daresti pro bono?
-9 il pallonaro. Non è il tifoso, ma quello che le spara enormi.
-10 il selfista anonimo con le sopracciglia ad ali di gabbiano. Preparatevi ad una vita di coppia su instagram. 
-11 il ragazzino. Se hai 30 anni, sei single e contenta, diventi molto attraente per i post adolescenti, convinti che la tua vita sessuale sia come quella di Samantha Jones.
-12 il cinquantenne. Come il punto precedente, ma potrebbe sapere cosa fare della vostra clitoride.
-13 il ragazzo che dopo avervi notate vi scrive e poi vi invita anche ad uscire. Più fantascientifico dell'unicorno, delle sirene e di Narnia.

giovedì 18 maggio 2017

Forse non tutto è perduto

MB ha 62 anni e da 20 si prende cura di bambini gravemente malati, accompagnandoli nel viaggio più difficile, l'ultimo.
MB adotta malati terminali abbandonati dalle famiglie e li accudisce negli ultimi mesi di vita. Ha iniziato tanto tempo fa, insieme a sua moglie Dawn, che è morta nel 2013. La vita per MB non è stata facile: si è trasferito in un altro paese per studiare, si è sposato e con sua moglie ha messo al mondo un figlio gravemente disabile. In seguito anche Dawn si è ammalata, e poi è morta, ma MB non è venuto meno all'impegno preso con l'amore della sua vita, ha continuato a scegliere bambini che nessuno vuole, a curarli ricoprendoli di affetto ed attenzioni. MB è un PADRE per ognuno di loro, perché essere genitori non ha nulla a che vedere con la mera trasmissione dei geni: essere padri e madri ha a che fare con la premura, il sacrificio, la devozione, in una parola con l'Amore, quello vero. Si può essere genitori di un figlio, ma anche di coloro che ti hanno messo al mondo, come capita spesso a chi si trova ad affrontare la malattia ed il decadimento di un genitore, si può essere madre di un'amica che ha bisogno di accoglienza ed affetto, di un essere indifeso che si affida a te per vivere, di un compagno che attraversa un momento difficile e necessita di braccia forti. Non tutti sono capaci di essere genitori, e non tutti quelli che sono degni di esserlo hanno la fortuna di diventarlo.
Ci sono poi quelle persone speciali, come MB, che hanno abbracciato il significato profondo dell'essere padre e ne hanno fatto una ragione di vita, e senza di esse il mondo farebbe sicuramente più schifo di quanto ne faccia già. MB è pieno di quel sentimento nobilissimo che è la misericordia, e ad essa si affida per fare del bene, un bene enorme sincero e disinteressato.
Basterebbe, a chi in questi giorni continua a rimbalzare la legge sul fine vita, un briciolo della compassione e dell'amore di MB per compiere una scelta, prendere posizione, esprimersi, ma di MB ce ne sono davvero troppo pochi.
Il nome esteso di MB è Mohamed Bzeek, è un cittadino americano di origine libica, musulmano, uno di quelli che Trump manderebbe volentieri via a calci in culo, uno di quelli che vengono guardati con sospetto perché hanno la barba e la carnagione scura, uno di quelli oggetto di odio da parte del Salvini di turno; la bambina che vedete con lui è sorda, cieca e paraplegica, ma Mohamed ogni mattina la veste, le fa le trecce, la riempie di coccole, le ha anche preparato una festa di compleanno. Delle radici di questo papà vi parlo solo per dovere di cronaca, ma a me, francamente, m'importa poco dell'origine di Mohamed: potrebbe essere anche un marziano, resterebbe comunque uno che mi fa sperare. Se ci sono persone come Mohamed, al mondo, forse non tutto è perduto.



martedì 16 maggio 2017

Eri bella mille, da uno a dieci

Ma quanto cazzo eri bella?

Da uno a dieci forse mille, non lo so. So soltanto che impazzii completamente, non appena posai lo sguardo su di te. Ti vidi per la prima volta davanti ad un banchetto promozionale, nel supermercato in cui lavoravo. Non ricordo esattamente cosa dovessi proporre alla gente, perché non appena ti vidi, la mia attenzione cadde soltanto sui tuoi occhi.

Si, ok, lo ammetto: le tue forme evidenti nel pantalone aderente nero, e la camicetta bianca col primo bottone aperto, fecero il loro sporco lavoro, ma non è questo a cui badai, lo giuro.

Eri e sei tuttora bella, nonostante il tempo sia passato e nonostante qualcosa sia cambiato, nei tuoi occhi. Sono ancora belli: chiari, verdi ed espressivi, ma non hanno più quella luce tipica dei vent'anni, in cui si vive di speranze e si fa qualsiasi esperienza pur di cullare un sogno, per tenerlo vivo. 

(Chissà chi è che ha offuscato quella luce).

Nonostante il tempo passato e nonostante le esperienze, che modificano il carattere e lo rendono meno sensibile al dolore, c'è qualcosa che però non cambierà mai: la mia reazione quando ti vedo.

Sono un tipo socievole, senza vergogna né limiti nel dire ciò che pensa. Mi sono riscoperto, negli anni, molto meno introverso di quanto pensassi. Non ho problemi a parlare con le ragazze, né ad esprimere le mie idee.

Con te però è diverso. Quando ti vedo, ritorno ad essere quell'adolescente timido e introverso che crede ancora che l'amore sia qualcosa di puro e candido. La mia mente mi trasforma in un tifoso napoletano e tu diventi Maradona: una divinità irraggiungibile e soltanto venerabile.

Probabilmente passerò la vita a venerarti, o semplicemente a spiaccicare un mezzo saluto quando ti incontro per strada. Non parleremo mai, né ti farò conoscere i tratti del mio carattere. E tu, resterai ai miei occhi perfetta, come sei stata dal primo momento in cui ti ho vista.

Probabilmente non leggerai mai ciò che ho scritto per te, e sicuramente se pure avrai possibilità di farlo, non capirai che è dedicato a te. Di sicuro non ti consola non sapere che c'è qualcuno che ti vede come una Dea, però ecco, ho pensato che potesse consolare chiunque legga questo post in questo blog.

Al mondo, c'è sempre qualcuno che pensa che tu sia mille da uno a dieci.

lunedì 15 maggio 2017

Gli amori sono come le scarpe

Gli amori sono come le scarpe. Alcune sono bruttine ma confortevoli, ci puoi fare km, sai che ti accompagneranno per molto tempo e non ti tradiranno mai. Altre sono bellissime, sexy ed eleganti, ma terribilmente scomode, le metti per uscire a bere nei locali del centro storico e a malapena riesci ad arrivare a fine serata, torni a casa, le metti nella scarpiera ed aspetti l'occasione di reindossarle, ma sai già che non arriverà mai, fino a quando ti decidi a far pulizia e a malincuore le butti, o peggio ancora le porti in un mercatino dell'usato. Le scarpe con la suola intonsa nello scaffale dei mercatini mi mettono tristezza, perché non hanno avuto una seconda opportunità: magari una soletta in gel e qualche cerotto avrebbero potuto migliorare la situazione, ma nessuno ci ha pensato, ed è così anche con quegli amori bellissimi e scomodi, quelli che ti fanno impazzire di gioia all'inizio ma poi diventano impossibili da sopportare, perché sono dolorosi, non si adattano al tuo cuore, non puoi andarci da nessuna parte, ed è così che, alla fine, ti adatti ad un amore comodo ma ordinario, che non fa male ma non ti valorizza neanche, è così che ti rassegni ad indossare un paio di scarpe da ginnastica, anche se sogni delle Loboutin di vernice tacco 12.

sabato 13 maggio 2017

Sì, mi piaccio, e vaffanculo.

Lui quasi sicuramente lo conoscete, è Roberto Saviano. Lei è Ashley Graham, modella plus size, che, tra le altre cose, ha sfilato in Michael Kors alla NYFW, ha avuto una copertina di Sports Illustrated, è testimonial Marina Rinaldi.
L'anno scorso Ashley ha pubblicato una foto che ha suscitato reazioni diametralmente opposte: qualcuno, come Saviano, ha giustamente parlato di rivoluzione dell'immagine, altri hanno usato termini come schifo, disgusto, vergogna. No, non si trattava di un'immagine di lei intenta a sacrificare giovani vergini e a berne il sangue, era una sua foto, molto bella, in bicicletta, con le gambe scoperte e la CELLULITE. Perché la cellulite esiste, è reale, le donne ne soffrono, se ne vergognano, la nascondono. Ci sono giornalacci da strapazzo che vendono proprio mostrando le gambe imperfette di attrici e cantanti, alimentando la soddisfazione maligna di chi, da casa, può sostituire lo scherno all'invidia.
Questo è un tempo in cui ci lasciamo rappresentare da un'immagine di noi stessi virtuale e fugace, destinata a distruggersi dopo 24 ore, siamo ossessionati dall'apparire sempre al meglio, perché può sempre capitare di finire in un selfie di gruppo, vuoi mai uscire un cesso? Ci ritocchiamo, filtriamo, modifichiamo. Cerchiamo disperatamente di assomigliare a modelli estetici irraggiungibili, ignorando che sono virtuali e trasfigurati, esattamente come le nostre foto su instagram.
C'è l'immagine, e poi ci sono i corpi. Corpi come quello di Ashley, che piacciono, disgustano, attirano o allontanano, insomma corpi che non lasciano indifferenti, che sono reali, imperfetti, mostrati con orgoglio fottendosene dei giudizi altrui, della pressione dell'imminente prova costume, delle taglie sempre più irrealistiche. Farci guardare, quando abbiamo la pancia, la cellulite, i fianchi troppo larghi, spogliarci dei vestiti e della vergogna, è un atto rivoluzionario, perché stiamo gridando al mondo intero che non ce ne frega un cazzo se non supereremo l'ennesimo esame al nostro corpo, se quei pantaloni tanto di tendenza ci fanno il culo grosso, se quando ci sediamo facciamo i rotolini.
A noi interessa vivere, ridere, mangiare, bere in compagnia, far godere quel corpo e coccolarlo, amarlo, perché merita rispetto. Ci preme mostrare che abbiamo una testa, un cuore, che sappiamo di essere sensuali quando siamo fiere e felici di noi stesse. Ci vogliamo bene, ci curiamo senza ossessione, siamo libere.
Non crediate però che sia facile: come ogni rivoluzione, anche questa è fatta di dolore, sacrifici e sangue, oltre che di ideali e amore.
Dietro alla strafottenza un po' arrogante con cui ci infiliamo in gonne che evidenziano e non nascondono c'è una storia di
inadeguatezza, sofferenza, colpi in faccia e vergogna. Dietro al sorriso fiero con cui scopriamo le braccia pienotte ci sono tante lacrime, confronti dai quali siamo uscite troppo spesso perdenti.
Ci siamo mortificate, disprezzate, umiliate, nascoste, poi abbiamo capito che star male non serve, e che dobbiamo piantarla di sentirci sbagliate.
Abbiamo alzato la testa, tirato fuori il petto, fatto un respiro profondo, ci siamo infilate i jeans skinny, messo i tacchi e siamo uscite allo scoperto, nel mondo, orgogliose di noi stesse. Ogni mattina ci guardiamo allo specchio e invece di denigrarci ci facciamo un complimento, perché ci amiamo, e pazienza se invece a voi facciamo schifo.
Abbiamo imparato a fregarcene, e abbiamo scoperto che è bellissimo farlo, ci siamo messe il rossetto, siamo uscite a bere, siamo andate al mare, abbiamo ballato come pazze, fatto l'amore, ci siamo godute gli sguardi carichi di desiderio, abbiamo combattuto per il diritto di essere diverse, di sentirci belle, di una bellezza anarchica, fuori dagli schemi, libera, ingombrante e gioiosa, e forse abbiamo anche vinto, e vaffanculo.

venerdì 12 maggio 2017

Tonight

Chi mi conosce lo sa che sono un peccatore. 
Non confondetemi: è solo perchè nonostante sia cresciuto con i dogmi cristiani, ho deciso di abbandonarli da tempo. È che mi sono accorto, nei dissidi interiori adolescenziali, che non mi appartengono. E soprattutto che non rappresentano a dovere ciò che dovrebbe guidare il mondo ai giorni nostri. 
Ho abbandonato da un po' l'idea di sposarmi. Non fa per me, e più vado avanti, più mi rendo conto che sia un'inutile perdita di tempo e soldi. I contratti a tempo indeterminato, li preferisco sul lavoro. 
È che non ci sono portato, tutto qui. Sono un affidabile lavoratore, uno che nella professione ci mette l'anima, qualsiasi essa sia. Ma nelle relazioni amorose non sono altrettanto affidabile, ormai ne ho coscienza.
Però sono un sognatore: ho sempre la speranza che un giorno tutto questo possa cambiare, che qualcuno possa trasformarmi nella persona che non sono. Nel santo che ogni donna desidera al suo fianco, nei suoi più intimi segreti. 
La realtà è che sono uno che vive di notte: il momento in cui tutto è possibile, in cui i sogni, anche quelli ad occhi aperti, possono prendere vita. E ogni tanto li lascio vivere, anche nella realtà, pur restando nella semi-coscienza che poi prende vita e mi fa capire che la realtà è ben diversa: non c'è qualcuno che ti salva, ti salvi da solo. Se ci riesci. 
Questa canzone che lascio in allegato è una di quelle che lascia il segno.
Nel testo c'è l'infelicità di chi ha deciso di fare il santo e che si rende conto troppo tardi che non ne è capace, pagando per un peccato.
C'è la malinconia del rendersi conto che è sbagliato, e l'insicurezza del non sapere perché accade. Forse, è semplicemente qualcosa che succede perché siamo fatti così. E facciamo fatica ad accettarlo.
Di notte, alle volte, conviene lasciar andare via il proprio corpo a ciò che si sente. Stanotte, è meglio per tutti che sia così.

venerdì 5 maggio 2017

semina disordine

Nei vicoli c'è troppa gente, fa caldo e l'aria è impregnata del fumo di un'erba che, stando all'odore, deve essere una merda. Riconosco tra la folla una potenziale rivale, non è poi particolarmente bella. Una tizia ruba una bottiglia di birra da un tavolino e mi sorride complice, la voce sottile di un metallaro di 120 kg mi spiazza. Rivedo la mia potenziale rivale, è davvero troppo bionda. 
È una di quelle sere in cui voglio assistere alla vita e non prendervi parte. 
Ci facciamo largo a spintoni, e nella concitazione rompo una scarpa. A piazza vari c'è un gruppo che riarrangia pezzi classici della musica italiana in chiave ska-punk, mi fanno sempre venir voglia di ballare anche se sono un po' dozzinali, ma ora sono malinconica, esco fuori, mi siedo e mi guardo intorno. Lo spettacolo è tristemente rassicurante, decine di ragazze e ragazzi tutti uguali, che bevono gli stessi drink e scattano troppi selfie, un esercito di cloni che obbedisce all'omologazione, spinti da un disperato bisogno di accettazione che li porta ad annullarsi, vogliono essere come la tipa famosa su instagram o il cantante di amici perché così sarebbero attraenti per un mondo anestetizzato incapace di apprezzare la diversità. La sigaretta è finita e mi accingo a rientrare, ma una scritta sul muro attira la mia attenzione: "SEMINA DISORDINE", quell'esortazione a rompere gli schemi fa a pugni con ciò che ho intorno, vorrei seminare anarchia e ribellione ma stasera sono troppo stanca, riesco solo a protestare silenziosamente tirandomi fuori dalla dittatura del divertimento ad ogni costo.
Durante il viaggio di ritorno mi perdo nei miei pensieri, ho urgenza di scrivere, e mi rimbombano nella testa i preziosi consigli di una persona che mi esorta a seguire il flow e non censurarmi quando scrivo, dovrei ascoltarlo ed osare di più, dar voce alle emozioni, ma sono frustrata perché non riesco a trovare le parole per descrivere il nichilismo che mi attanaglia lo stomaco: vedo morti in divisa H&M che camminano e che hanno valore sociale in funzione di quanti like ricevono su instagram, il mondo là fuori va a puttane, e io non trovo un briciolo di speranza.
Forse sono solo assonnata e ho visto troppe puntate di black mirror, ma continuo a pensare a quella scritta. Seminare disordine, portare a spasso il caos, togliersi i vestiti fast fashion e il rossetto alla moda, fotografare i fiori e le scritte sui muri, parlare con le persone guardandole negli occhi, trovare aggettivi e non hashtag.
Ok, ho ritrovato almeno la voglia di rompere i coglioni, forse la speranza non è lontana.

mercoledì 3 maggio 2017

esistono ancora gli uomini che ti portano a ballare

La musica è quella che non so ballare, almeno non da sobria. Mi guardo intorno e le ragazze si scatenano spensierate, sono bellissime così sorridenti. Ad un tratto li vedo, ballano bene, conoscono i passi, ma non è quello che mi colpisce: sono una coppia di mezza età, ballano stretti stretti, si guardano negli occhi, si amano con la tenerezza e la complicità di chi attraversa la vita insieme, non importa se da un'ora o da un secolo; continuo a fissarli e mi vergogno della mia impudenza e della propensione alle lacrime facili, così decido di uscire a fumare la solita inutile sigaretta meditativa, fuggendo dalla calca, dalla musica, ma non dai miei pensieri. Quante volte mi sono detta che in fondo non sarebbe male diventare una vecchia signora eccentrica e zitella, che si guadagna da vivere dispensando consigli amorosi, con l'affettuoso distacco di chi considera certe cose superflue? Tante, tantissime volte. Mentivo sapendo di mentire, non sono fatta per essere sola, e prima di capirlo ho commesso tanti sbagli, scelto persone inadatte, amato troppo o troppo poco, e ora che ne sono consapevole so che invecchiare da soli è uno schifo, ma farlo con la persona sbagliata è un inferno. Sono diventata pretenziosa, o forse ho imparato a difendermi dai miei stessi errori.
Torno dentro, la mia coppia preferita sta ancora ballando, lui la guida con dolcezza, si danno un bacio e ho di nuovo gli occhi lucidi.
Vanno via mano nella mano, la mia serata non è ancora finita, mi butto nella mischia, non voglio pensare troppo, ma una cosa la so: esistono ancora gli uomini che ti portano a ballare.