mercoledì 14 giugno 2017

Il decalogo del tifoso che (non) hai trovato allo stadio


Ebbene si, il Benevento Calcio è in Serie A!!!

(Squilli di trombe e Alleluia del coro gregoriano di turno)


Per chi non lo sapesse, e sembra quasi impossibile per un abitante della provincia sannita, finalmente il Benevento è riuscito nell'impresa di conquistare la massima serie calcistica per la prima volta nella sua storia. Battuto il Carpi ai play-off, e forti del pareggio nella partita d'andata, la città ha potuto festeggiare fino a notte fonda la meritata e agognata promozione. Quasi 20.000 anime hanno riempito con voce, cuore e colori, gli spalti del Ciro Vigorito, per permettere così alla nostra città di raggiungere un obiettivo unico e, alla vigilia, improbabile da perseguire.

Ora, non voglio tediarvi con discorsi riguardanti l'aspetto tecnico della faccenda, ma piuttosto, essendo un frequentatore dello stadio, mi sono voluto cimentare in quello che secondo me è il decalogo del tipo di tifoso che (non) hai trovato allo stadio giovedì. Tenetevi forte.

1. L'Ultras

Di sicuro questa tipologia di tifoso non te la sei trovata seduta affianco, a meno che non sia tu stesso un ultras. E' risaputo che gli ultras occupano la parte centrale della Curva Sud, hanno il biglietto (se ce l'hanno) messo da parte dalla ricevitoria già da prima che i biglietti vengano stampati, e soprattutto cantano. Sempre. Non smettono di cantare neanche in giro per il corso Garibaldi. Loro, sciarpetta rigorosamente legata alla vita a mò di cintura, alzano le mani al cielo e, mezzi ubriachi, 'anna cantà!'.
Perché se non canti non sei tifoso, e se non sei tifoso non rappresenti la città. E se non rappresenti la città non sei orgogliosamente beneventano e se non sei orgogliosamente beneventano, vuol dire che non sei un sannita. E se non sei un sannita, vuol dire che non sei un gladiatore, e se non sei un gladiatore non vinci la battaglia contro i leoni e i romani. Poi si svegliano tutti sudati e capiscono che sono passati un paio di migliaia di anni da allora.
Il calcio per l'ultras rappresenta in chiave moderna una guerra a tutti gli effetti, fatta di bombe a mano artigianali nel tentativo di incutere timore agli avversari e sciarpette sventolate al cielo come il nunchaku di Bruce Lee.
Poi quando vai allo stadio e c'è la tifoseria ospite, dopo aver assistito sui social a frasi violentissime e sfottò in cui escono sempre in mezzo mamme e sorelle, ti rendi conto che più che una guerra è una sorta di battaglia freestyle come quella dei rapper, soltanto che si fa in coro. E sui gradoni. Niente mazzate, niente mamme violentate o sorelle sverginate, perché il massimo che puoi ottenere al giorno d'oggi è qualche manganellata ben assestata del poliziotto di turno. Se sei particolarmente fuori di melone.
Per le precedenti manganellate...
Gli ultras sono contrari a tutto: alla tessera del tifoso che poi puntualmente sottoscrivono e soprattutto agli occasionali. Quelli proprio non li possono vedere, salvo poi invitare la cittadinanza alla partecipazione di massa. In fondo sanno contare: si rendono conto pure loro che 20.000 is megl che uan!

1b. Il capo Ultras

Lui la partita non la vede. Viene allo stadio per guardare dal lato sbagliato del campo, cioè verso le gradinate. Me lo sono sempre chiesto senza risposta, ma spero proprio non paghi il biglietto. Lui non indossa maglietta, è scritto sul CCNL dei capi ultras. Pure se la partita si gioca il 27 gennaio e allo stadio ci sono -12°. Eroe.

2. L'abbonato

L'abbonato è una figura variegata. Età media: 40 anni. I 20enni in Curva, i 60enni nei distinti. Sono vecchie glorie ultras ormai in pensione oppure nuove leve, o semplicemente appassionati di calcio e innamorati della squadra. Loro la partita la vedono, non cantano. Ne fanno un'analisi tecnico-tattica sconcertante. Ricordano le formazioni a memoria dal 1929 e sanno tutto di tutto sulla squadra in campo, comprese mamme, sorelle dei giocatori, e quello che hanno fatto la sera prima. Non si perdono una partita neanche se li minacci di morte o se si sposano. Ogni volta che segna un gol il Benevento, si ritrovano abbracciati allo sconosciuto di turno, e se non vanno in trasferta la partita la vedono in streaming su un sito rumeno o, per i più fortunati, su Sky. Sta di fatto che in un modo o nell'altro loro ci sono, costi quel che costi. Del resto, l'abbonamento lo hanno fatto pure per risparmiare: se si perdono troppe partite, poi non ne vale la pena.

3. L'occasionale

Ovvero l'antitesi dell'ultras.
L'occasionale è quello che oltre al Benevento Calcio ha anche una vita sociale. Nel week end gli piace farsi le gite fuori porta, le partitelle a pallone con gli amici, le grigliate in famiglia. Segue il Benevento tramite live score, non ne fa una tragedia se perde, è sereno se vince. Ogni tanto, magari libero da altri impegni, fa una capatina allo stadio e va tranquillamente a vedere la partita, con un orecchio dedicato ai campi di serie A. Si fa qualche selfie con gli amici, chiacchiera amabilmente e non si avvelena. Per lui, il calcio è uno spettacolo al quale assistere, come un musical, un concerto o uno spettacolo teatrale. Niente guerre, nè urla, nè cori. Solo sport. Ovviamente nelle partite di cartello ruba il biglietto all'abbonato di turno perché ha gli agganci giusti, e per questo viene odiato da tutti. Mica per altro.
Conosce i giocatori più importanti e puntualmente li critica se la squadra perde. I giocatori che non conosce, li chiama per numero di maglia.

4. Il festaiolo

Questa categoria l'hai trovata allo stadio per un motivo ben specifico: c'è la possibilità di fare caciara, perché perdersela. Si è fatto otto ore di fila per un biglietto, perché riempire la sua pagina Facebook e Instagram con selfie dai gradoni, o foto della Curva, fa comunque prendere un botto di like. In realtà è una pecora che va allo stadio solo per sentirsi integrato, per poter parlare con gli altri di qualcosa o semplicemente per avere un motivo banale per tornare a casa ubriaco ed essere giustificato. Di quello che succede nel campo, se ne frega poco. Allo stadio ci va per fare acchiappanza, o semplicemente per farsi vedere. Domanda alla Fantozzi 'chi ha fatto palo?' oppure chiede al vicino di turno 'quali sono i nostri?' perché ovviamente non conosce nemmeno i colori sociali. Lo hai visto a Piazza Risorgimento con un cocktail in mano, un gagliardetto rubato e cellulare nell'altra mano pronto a fare foto a sè stesso o al mondo intero. Diretta Facebook o Instagram obbligatoria.
L'unico aneddoto che conosce sul Benevento Calcio è relativo alla sconfitta casalinga col Crotone: quel giorno si entrava addirittura gratis!
E il Presidente si è venduto la partita.

5. Il lavoratore

Questa categoria dovrebbe essere l'antitesi dell'ultras, ma nessuno se ne è accorto e quindi tutti odiano gli occasionali. I lavoratori sono quelli che non solo non sono minimamente appassionati al Benevento Calcio, ma hanno pure la faccia tosta di lucrarci sopra, facendo credere al mondo di essere tifosissimi e appassionati sostenitori, solo per raccogliere qualche like pubblicitario dalla gente talmente esaltata dalla Serie A che mette like (o compra) a qualsiasi cosa giallorossa. Compresa la carta del cesso. E allora vedi schiere di negozianti che si dichiarano tifosissimi dal primo momento, quando a stento sanno dove si trova lo stadio. E se lo sanno, vengono allo stadio e li vedi continuamente sul cellulare a fare la cronaca in diretta di quello che succede sul campo, accompagnando il tutto con il nuovo gadget giallorosso appena diventato disponibile. E così via fotografi, gioiellieri, ristoratori si reinventano tifosi giusto per cercare di trovare clienti. Poi magari decidi di provare un ristorante perché in fondo vedendo l'annuncio, ti dici che il proprietario per essere tifoso del Benevento Calcio, deve essere proprio una brava persona! E così vai lì e non trovi neanche mezza bandiera o un gagliardetto e se gli chiedi di Bagadur, magari ti risponde pure che di cucina africana proprio non ne capisce...

6. Il moralista

Questa categoria è bellissima: ha sperato, in fondo, che il Benevento Calcio perdesse per poter salire sul carro della morale e giudicare tutti dall'alto della sua saccenza. Avrebbe potuto così dirti che il calcio non è più uno sport, che ci sono problemi più importanti e che tutto ciò che il popolo sa fare è essere triste o esaltato 'per undici giocatori che corrono dietro ad un pallone'! Che Vigorito si è già venduto la finale col Crotone, e che quindi fosse scontata la sua teoria che il Presidente in Serie A non ci vuole andare.
Ecco, ci hai provato. E hai festeggiato ugualmente salendo sull'unico carro disponibile: quello del vincitore.

7. Il pensionato

Anche lui si è fatto otto ore di fila per prendere i biglietti. E lo ha fatto per un semplice motivo: i nipoti. A lui avrebbe fatto piacere godersi la finale come l'andata a Carpi, comodamente seduto sul divano di casa, con un bel caffè davanti e dopo aver digerito la cena delle 19.15! E invece la moglie lo ha costretto ad andare allo stadio e portarci i nipotini perché 'non succede, ma se succede quando ricapita che e criatur vedono uno spettacolo del genere?! Va e puort't pur a lor!'. Sul gol di Puscas, si è ritrovato abbracciato affettuosamente dall'abbonato di turno e quando ha ripreso i sensi, ha dovuto pure tenersi l'ansia di un nipotino che puntualmente per un attimo si era perso nella marmaglia di gente accatastata una sopra l'altra. E da cui il nipotino ha fatto capolino, con buona pace del bypass appena evitato.

8. L'avellinese

La Serie A l'ha vista solo tuo papà. E ben ti sta!

9. (Che poi sarebbe la decima) Io

Beh si, io faccio categoria a parte. Sono anni che non vado allo stadio e non ci vado per diverse ragioni. Una delle più importanti è che sono contrario alla violenza, e allo stadio riuscivo spesso ad appiccicarmi con la gente per la minima questione. Non sopportavo più i "Vigorito vattene", le opinioni tecnico-tattiche lanciate a cazzo di cane dal carpentiere di turno (con tutto il rispetto per la categoria), e non sopportavo neanche la calca nelle partite importanti, quando poi il campionato di C2 lo vedevamo i soliti mille. Non sopportavo più i cori contro gli occasionali, i cori contro le tifoserie avversarie, di cui non riuscivo a distinguere i volti nè le fattezze. Di cui non sapevo la storia. Non sopportavo l'orgoglio sannita e l'amore per la città sbandierato per una partita di pallone, quando poi i 'Vigorito vattene' li vedevo puntualmente scritti imbrattando chissà quale muro di chissà quale palazzo pubblico. Non sopportavo il protagonismo: l'eterna convinzione della gente che la tifoseria possa influenzare in qualche modo il cammino di una squadra in un campionato. Ho sempre creduto nel fattore campo, ma le promozioni si conquistano con la sinergia di diversi fattori e con i soldi. Tanti soldi. Non sopportavo le critiche spesso gratuite ai giocatori, che per quanto ben pagati fanno solo il loro lavoro. Critiche che poi arrivavano da gente che non ha mai lavorato e chissà come cazzo si guadagna da vivere.

Ecco, io che non sopportavo e non sopporto tutte queste cose, allo stadio non c'ero. Ero a fare turno a lavoro, esattamente come il 30 aprile 2016, giorno in cui il Benevento Calcio è salito in Serie B.
E giuro che me lo ricordo, non sono andato su Google a cercare la data come avrebbe fatto il 50% delle persone che allo stadio quel giorno c'erano.

Ho amato quei colori, e li seguo tuttora, ma da lontano. Sono stato felice per la cittadinanza, per le persone coinvolte e per i giocatori e il Presidente. Ho passato la notte a vedere i cortei, le bandiere e gli striscioni per strada mentre io ero prigioniero volontario a lavoro. E un po' lo ammetto, non ho cambiato turno stavolta anche per una sorta di scaramanzia. Ed è andata bene.

E così sono io l'unico(?) beneventano che non c'era in nessuna delle due feste. E che in fondo raggruppa esattamente tutte le categorie sopra citate.

Angelo Del Vecchio - BN Calcio Anthem 2013/14

domenica 11 giugno 2017

Coazione a ripetere

Tra i tanti difetti che ho, e ne ho davvero tantissimi, il peggiore è la tendenza a fare sempre le stesse cazzate. Mi ubriaco, sto male e prometto che non berrò più, e poi il sabato successivo bevo il doppio. Mi bocciano all'esame di teoria ed invece di studiare tento di nuovo la sorte. Mi infilo in situazioni di merda, soffro come un cane, ne esco a fatica e poi ci ricasco, e quando ne riesco di nuovo mi dico che non voglio trattare il cuore come una puttana, che è arrivato il momento di fregarmene e smetterla di illudermi che chi nasce idiota possa diventare l'uomo perfetto, però poi finisco sempre nel bagno a piangere sui cocci della mia anima fatta a pezzi.
Si chiama coazione a ripetere, aggravata dalla propensione a fare sempre peggio. Il punto è che io non vivo con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro, ma in un loop, mi condanno a fare sempre le stesse cose, non imparo dai miei errori, non cresco. Non sono indulgente con me stessa, quando realizzo il macello che sto combinando: mi macero nei sensi di colpa dandomi della cretina e perdendo ancora di più lucidità, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno in cui l'istinto di sopravvivenza ha la meglio sulla spinta autodistruttiva che è mia compagna fedele da tutta una vita. È questo il punto, io non so come si fa ad essere felici, trasformo la mia vita in un dramma da operetta ridicolo ed imbarazzante, trascino nel baratro della disperazione chi mi è accanto e cerca di aiutarmi, sbaglio e chiedo scusa, m'incazzo con me stessa e faccio altre cazzate per anestetizzare il dolore perché ho troppa paura di tirare via il dente marcio, quella sensazione perenne di non essere abbastanza, di non meritare abbastanza, quell'amaro in gola che non va via nemmeno dopo 5 tequila e che mi fa credere che il mio destino sia farmi a pezzi ogni volta. Ma il destino non esiste, lo so bene, tutto quello che mi accade lo voglio io che non ho sufficiente forza di volontà per allontanare chi sta per ferirmi, perché sì, io mi faccio malissimo ogni volta. Dovrei usare la testa ed il cuore, farli lavorare in sincronia e lasciare che siano loro a guidare le mie azioni, e non un cazzo di istinto ferino e malevolo che mi spinge a tuffarmi nelle acque gelide, dovrei chiedermi se sarò in grado di sopravvivere, dovrei spezzare quel circolo vizioso in cui mi crogiolo, smetterla di illudermi, iniziare ad amarmi davvero. Domani lo farò, e non sto tergiversando, domani lo farò davvero, lo devo a me stessa, e lo farò. Uccidi il bastardo, uccidi la colpa, uccidi gli errori e rinasci, sii la versione migliore di te. 

domenica 4 giugno 2017

Prova costume? Fatela voi!

Odio questo periodo. Fa caldo, le zanzare iniziano a tormentarmi, la gente non si lava, e in tv, sui giornali e sui social è un continuo martellamento con l'imminente prova costume. Che poi, prova de che? Ma che è, un esame? Dobbiamo studiare per andare al mare a mettere i piedi in ammollo ed abbronzarci? Dobbiamo fare le nottate sbronzandoci di caffè? E se non passiamo l'esame? Rimandate a settembre?
Ci avete rotto il cazzo!
Ci avete rotto il cazzo con i vostri parametri basati esclusivamente sull'aspetto, coi giudizi ed i commenti cattivi. Troppo magre, troppo grasse? Fatti nostri. Perché non ci chiedete piuttosto se siamo felici, soddisfatte, realizzate? Perché invece di misurare i cm di coscia non tenete il conto dei nostri sorrisi, delle nostre lacrime e dei sacrifici che facciamo per vivere la vita come vogliamo? Perché continuate a catalogarci come bestie ad una fiera? Ma poi, vorrei sapere, davvero qualcuno quando è in spiaggia passa il tempo a scrutare le pance altrui?
Perché per fare una cosa normale come andarcene al mare dovremmo adeguarci a criteri decisi da altri? Dovremmo negarci il piacere di spogliarci e farci baciare dal sole e dalle onde solo perché il nostro corpo non piace a voi? Ma perché, chi cazzo siete?
Vi svelo un segreto: le taglie sono una convenzione, un modo per dividere i vestiti e permetterci di trovare al volo quello fabbricato per accogliere le nostre forme, e a me le convenzioni non piacciono, a dirla tutta mi fanno proprio schifo, per cui la prova costume per entrare nel bikini striminzito Size 0 fatela voi, io ho sfide più importanti da vincere.